Teatro

La casa di Bernarda Alba: il capolavoro di Lorca, e di Nobili

La casa di Bernarda Alba: il capolavoro di Lorca, e di Nobili

Ultimo testo scritto da Federico Garcia Lorca, portato a termine nel 1936, due mesi prima di essere ucciso dai falangisti, La Casa di Bernarda Alba andò in scena solo dopo la guerra, nel 1945. In Italia  due anni dopo, al teatro Nuovo di Milano. Ultima delle tre tragedie lorchiane viene considerata una delle punte massimo non solo della produzione di Garcia Lorca ma del teatro Spagnolo del novecento.

Il testo racconta il dramma di Donna Alba la quale, rimasta vedova per la seconda volta, si veste del lutto cui la società cattolica dell'epoca la costringe, facendone un sadico strumento di controllo sulle cinque figlie in età da marito, che costringe in casa come monache di clausura, in una ossessione per l'osservanza delle regole sociali che trasforma in strumento di potere personale.

Un potere che Bernarda sa di non possedere davvero non avendo un maschio accanto (nella società maschilista e patriarcale della Spagna pre-franchista) indossando la sua assenza come un vestito tragicamente a lutto. Un maschio che è anche una presenza numinosa  come nel caso del nel giovane Pepe, promesso sposo della primogenita Angustias, ma segretamente in tresca con Adele, la più giovane delle figlie cui tutte le figlie subiscono, in maniera diversa, il fascino.

Scoperta la relazione prematrimoniale e dunque disonorevole di Adele (Martirio, un'altra sorella, fa la spia) Bernarda cerca di ripristinare il suo controllo sulla famiglia riuscendo solo indurre Adele a un gesto estremo.

La messinscena di Nobili è efficacissima a cominciare dall'intervento sul testo che compie tagli sensibili eliminando le divagazioni e i cali di tensione del tessuto narrativo aumentano, se possibile, nel testo il senso di soffocante claustrofobia che si respira in casa Alba. Il pubblico entra in sala mentre le attrici e gli attori sono già in scena, congelati in una posa per un ideale scatto fotografico (Lorca giustappone alla commedia una avvertenza nella quale precisa che i tre atti vogliono essere un documentario fotografico) o come un ritratto familiare dipinto su tela.

Nel testo originale non ci sono uomini in scena (il giovane Pepe non compare mai) ma Nobili decide di cambiare le carte in tavola in maniera sottile e intelligente.
Intanto fa comparire Pepe, l'amato e conteso bene, in  poche, fugaci apparizioni che danno corpo al fascino di una bellezza giovane e rurale, e poi pensa bene di assegnare due ruoli femminili a due uomini. Anche stavolta la scena è unica, uno spazio scenico ideale, nel quale il dramma prende modo senza soluzione di continuità arrivando al vero cuore della tragedia sfrondata della suddivisione in cene e atti.

Grazie all'intelligente opera di selezione di Nobili, il ritmo serrato del testo sostiene la recitazione delle e degli interpreti che richiede loro tutta l'energia e la bravura di cui sono capaci.
Incredibilmente in parte Micaela Bonito che interpreta Bernarda magnificamente, il viso coperto di biacca, due segni grafici da maschera del teatro No giapponese al posto delle sopracciglia, che ci restituisce con la necessaria autorevolezza la determinatezza crudele di una donna che cerca di ammantarsi di un potere che sa di non avere, senza ricorre all'esagerazione ma anzi con una inquietudine tutta interna che non lascia trasparire e che usa come un volano dal quale attingere una energia incredibile.

Non da meno sono le interpreti delle cinque figlie asservite alla madre - e dunque  a loro volta col viso coperto di biacca, tranne Adele, che è l'unica a sottrarsi a questo matriarcato di ripiego - che sanno restituire il carattere diverso di ognuna di loro anche solo con la postura del corpo.
Marco Fioravante interpreta il difficile ruolo di Maria Josefa, la matriarca svampita della famiglia, madre di Alba, restituendola con una verità e una generosità sorprendenti. Marco mette tra parentesi il proprio essere uomo e si dona al personaggio femminile lasciando che si esprima suo tramite diventandolo senza l'ausilio di alcuno stereotipo, senza nessun cliché, senza alludere alla naivetè della vecchiaia malata con una intensità e una verità indimenticabili.

Andrea Guerini nell'interpretare La Ponzia, la vecchia domestica di casa Alba, non riesce invece ad abdicare al suo punto di vista maschile e porta in scena il suo personaggio femminile con uno spirito che ricorda quello della Drag Queen, di un uomo cioè che propone una idea di femminino ironica e sopra le righe, pieno di allusioni e sottotesti, un modo di portare in scena una donna difficilissimo e che Guerini compie con una perizia di prim'ordine, tradendo così, più nella testa che nella recitazione, una pervicacia squisitamente maschile nel voler rimanere uomo anche se sulla scena vediamo una donna. Anche così fa però gioco al testo sottolineando l'ineluttabilità di un certo sentire maschile che non sa rinunciare mai a se stesso.

Un ...maschiocentrismo - se ci si perdona il neologismo - al quale sono diversamente soggetti tutte le donne della tragedia che non sanno sottrarsi al fascino dell'uomo come sottolinea il finalissimo voluto da Nobili che ci mostra Pepe che fa innamorare di sé  Martirio e dove tutto sembra destinato a ripetersi.

Un allestimento elegante e impeccabile diretto da un regista che affianca a una sensibilità drammaturgica notevole quella elegante e paterna dell'insegnante che conosce i propri allievi e le proprie allieve.